Dalla crisi si esce solo se lo stato diventa più magro
(Pubblicato il 31 Dicembre 2013 ne Il Secolo XIX, p. 1)
di
Andrea Monticini
A cinque anni dal crash Lehman, il pil italiano è ancora abbondantemente al di sotto del livello pre-crisi (-9%): se anche dal 2015 crescessimo all' 1,7%, ci vorrebbero quasi 7 anni per tornare al livello del 2007. Sembra quindi utile cercare di analizzare cosa si sta facendo (se si sta facendo qualcosa) per riportare l'Italia su un sentiero virtuoso di crescita. Come premessa va ricordato che la crescita economica va meritata attraverso adeguate politiche economiche sia nazionali che a livello di area euro, e non basta star fermi in attesa che prima o poi arrivi come manna dal cielo.
Come ben saputo il difetto di origine dell'area euro consiste nella mancanza di un meccanismo automatico che consenta di riequilibrare il saldo delle partite correnti (differenza tra il valore dei beni esportati ed il valore dei beni importati) delle singole nazioni. Si pensi che all'inizio dell'euro l'Italia presentava un saldo positivo di 20 miliardi, che è diventato un deficit di 60 miliardi all'apice della crisi. Tale deficit era sempre stato finanziato dal risparmio tedesco. Venuto meno il flusso di denaro dalla Germania, l'Italia, per riequilibrare il deficit della partite correnti, ha potuto contare solo sulla "svalutazione interna", ovvero la riduzione del costo del lavoro rispetto ai Paesi concorrenti. In questo senso, la caduta dei consumi ne è stata la manifestazione più evidente.
Ovviamente, la svalutazione interna si è resa necessaria perchè non esiste a livello europeo un bilancio fiscale comune che avrebbe permesso un riaggiustamento meno traumatico.. In attesa degli Stati Uniti d'Europa, il 2013 doveva far partire almeno l'unione bancaria europea, che nelle intenzioni era un passo verso una maggior integrazione tra i paesi dell'area euro. Tuttavia, il risultato raggiunto lo scorso 18 Dicembre nell'incontro Ecofin è deludente. Infatti, in caso di crisi bancarie (un pilastro della futura unione bancaria) il grado di solidarietà europeo sarà molto modesto per almeno i prossimi 10 anni. Una brutta notizia, perchè un sistema di mutualizzazione di eventuali perdite derivanti dal fallimento di una banca, avrebbe contribuito a ristabilire fiducia tra le banche, che dall'inizio della crisi hanno smesso di prestarsi denaro per paura di non vederselo restituito.
Per quanto riguarda il piano domestico, nel 2014 l'Italia dovrà rimborsare, perchè giunti a scadenza, circa 108 miliardi di BTP, 26 miliardi di CCT e 57 miliardi di CTZ, per un totale di 191 miliardi; nel 2013 tali rimborsi sono ammontati a circa 155 miliardi. Il prossimo anno quindi il Tesoro dovrà rimborsare 41 miliardi in più. Tuttavia, nonostante il considerevole aumento, il Tesoro non dovrebbe incontrare particolari difficoltà , in altre parole, al momento, non sembrano esserci in vista turbolenze simili a quelle di due anni fa. Il 2013 sotto questo aspetto è stato quindi un anno positivo, che ha visto tornare un po' di fiducia sui titoli di stato italiani; lo spread BTP-Bund è infatti diminuito da inizio anno di circa 50 punti base.
Sul piano nazionale invece la nota negativa è la mancanza di una seria politica di snellimento dello Stato, in modo da consentire una diminuzione della pressione fiscale. In questo ambito, tutto è rimandato al futuro, ben oltre il 2014. Infatti, sia per le privatizzazioni delle partecipazioni statali che per la diminuzione della spesa pubblica non esistono al momento piani ben definiti, ma solo la promessa di risparmi per circa 32 miliardi (sul deficit corrente) da qui al 2016 da realizzare attraverso la spending review. Premesso che la spending review dovrebbe servire per avere una spesa pubblica efficiente ma non necessariamente minore, c'è da temere che tali risparmi, per non rimanere solo buone intenzioni, debbano passare attraverso la riduzione del personale della pubblica amministrazione ed il taglio delle pensioni: difficile che accada.