Il rischio dove meno te lo aspetti
(pubblicato su lavoce.info il 2015-02-24)
di
Andrea Boitani e Andrea Monticini
Con la vittoria di Tsipras alle ultime elezioni greche è ricominciato il dibattito sui problemi ancora irrisolti presenti nella costruzione dell'area valutaria dell'euro. In attesa degli eventi, è interessante cercare di analizzare quali siano attualmente le possibili fonti di rischio in grado di minare nei prossimi mesi (anni) l'unione monetaria europea. Uno di questi, il più importante, è il rischio sistemico, cioè il rischio che si verifichino particolari coincidenze in grado di minacciare la fiducia e/o la stabilità nel sistema finanziario nel suo complesso.
Risulta quindi utile prendere in esame tutti gli operatori finanziari che sono potenzialmente in grado di scatenare una nuova crisi sistemica, e non solo gli operatori bancari.
Per misurare il rischio sistemico attualmente presente nell'area euro è possibile utilizzare i calcoli prodotti dall'Istituto V-Lab della New York University (NYU), diretto dal premio Nobel per l'economia del 2003 Robert Engle. La misura di rischio sistemico utilizzata risponde alla seguente domanda: “di quanto capitale avrebbe bisogno una istituzione finanziaria al fine di funzionare normalmente se vi fosse una nuova crisi?”. In definitiva, quindi, il rischio sistemico si traduce in una carenza di capitale, che dipende sia dal leverage dell’istituzione (cioè il rapporto tra l’attivo totale e il capitale-equity) sia dalla sua dimensione e interconnessione con il resto del sistema finanziario.
Dato l'attuale dibattito sul salvataggio (o meno) della Grecia per i possibili effetti di contagio ancora presenti verso le altre nazioni, sembra utile passare in rassegna innanzitutto il rischio sistematico aggregato su base nazionale. Come si può osservare nella Figura 1 - dove si riporta il rischio globale sistemico per nazione, normalizzato per il PIL - il paese oggi maggiormente capace di minacciare la stabilità dell'area euro in caso di uno shock negativo è la Francia, con un rapporto rischio sistemico/PIL pari a circa il 13%, seguita nell'ordine dalla Grecia, dall'Olanda, dalla Spagna e dall'Italia. Un aspetto emerge chiaramente: la Francia, oltre ad essere in testa alla classifica, presenta un rischio sistemico pari al doppio di quello italiano e l’Olanda presenta un rischio sistemico di due punti percentuali più elevato di quello italiano. Anche tre paesi fuori dall’Unione Monetaria (Regno Unito, Svizzera e Danimarca) presentano livelli di rischio sistemico superiori a
quello dell’Italia. Inoltre, analizzando il profilo temporale dell'andamento del rischio sistemico francese si scopre che dopo essere diminuito dal punto di massimo toccato nel 2012 fino alla fine del 2013, nel corso del 2014 è ricominciato a crescere ed oggi è stimato in poco meno di 400 miliardi di dollari.
Il rischio sistemico delle istituzioni finanziarie italiane (ponderato con il totale degli assets) è riportato in Figura 2.
In base a questa analisi, Unicredit risulta essere di gran lunga l'istituzione finanziaria italiana più rischiosa, con un valore di rischio sistemico pari a circa il 1,1%. In graduatoria seguono, a debita distanza, Banca Intesa San Paolo (0,45%), le Assicurazioni Generali (0,4%) e il Monte dei Paschi di Siena (0,3).
Interessante è il confronto tra la banca italiana a più elevata rischiosità sistemica (Unicredit) con le altre grandi istituzioni finanziarie dell'area euro (Tabella 1). Un po' a sorpresa, si scopre che l'istituzione finanziaria più rischiosa in assoluto risulta essere BNP Paribas, con circa 104 miliardi di $ di possibile carenza di capitale, seguita da Credit Agricole con 95 miliardi di dollari e Deutsche Bank con circa 90 miliardi di $. E Unicredit in che posizione si trova? Unicredit è in quinta posizione con circa 42 miliardi di $, mentre Intesa San Paolo è solo ventiduesima.
Il quadro che emerge non è immediatamente riconciliabile con i recenti risultati dell'analisi resa pubblica dalla Banca Centrale Europea lo scorso ottobre. Infatti, nei risultati dell'esercizio condotto dalla BCE nessuna delle banche che si trovano ai primi 10 posti per carenza di capitale nella classifica di rischiosità sistemica del V-Lab di NYU è stata identificata come potenzialmente carente di capitale in situazione di stress dalla BCE (Tabella 2).
Come è possibile? Innanzitutto va detto che il Comprehensive Assessment della BCE si riferisce alla situazione esistente al 31.12.2013, mentre i dati di Engle sono aggiornati al 13.12.2015.
Ma non è plausibile che la completa estraneità tra i due ordinamenti sia da ricondurre alla sfasatura temporale: tanto rischio sistemico non si accumula e non si smaltisce in soli 12 mesi. In effetti, prendendo i dati di Engle al 31.02.2013, si vede subito che il gruppo delle istituzioni a più elevato rischio sistemico è identico a quello del 13.02.2015, con marginali cambiamenti nel ranking. Naturalmente, è ragionevole che la metodologia impiegata dalla BCE sia diversa da quella impiegata da Engle, essendo anche differenti le finalità della valutazione. In particolare, la BCE era interessata a testare la solidità patrimoniale della singola banca nei confronti dei suoi depositanti e quindi meno interessata al rischio sistemico. Ciò spiega come mai le grandi banche non figurano nella classifica delle più problematiche secondo la BCE. Come già detto, infatti, la dimensione è variabile rilevante per il rischio sistemico ma non
necessariamente per determinare la carenza di capitale della singola istituzione presa in isolamento.
Si potrebbe argomentare che non sia troppo saggio trascurare l’approccio sistemico per concentrarsi su quello “microeconomico”. Ma si possono anche effettuare delle altre supposizioni. In primo luogo, si potrebbe pensare che la BCE abbia concentrato l’attenzione sulle banche prevalentemente commerciali e che quindi abbia “defocalizzato” le grandi banche universali europee (quali BNP Paribas, Deutsche Bank, ecc.) che svolgono anche (se non prevalentemente) attività da banca d’investimento. Qualcuno ha sospettato che la BCE abbia voluto allontanare da sè l’amaro calice che avrebbe dovuto bere qualora avesse segnalato la carenza di capitale di banche così grandi che solo lei (la BCE stessa) avrebbe avuto i mezzi per ricapitalizzare. A pensar male…
Infine, tornado all'analisi delle istituzioni finanziarie italiane (Figura 2), merita osservare che, secondo le analisi di V-Lab della NYU, che la prima banca cooperativa (il Banco Popolare) si trova in quinta posizione e presenta un profilo di rischio sistemico molto inferiore alle prime quattro istituzioni finanziarie presenti in graduatoria, tutte società per azioni. Certo, c’è la questione dimensionale che entra pesantemente a determinare il risultato, ma non emerge una relazione diretta evidente tra l’assetto di banca cooperativa e grado di rischiosità sistemica. C’è invece da riflettere sul postulato, oggi assai in voga, che una crescita dimensionale dei nostri gruppi bancari – attraverso trasformazioni societarie ed aggregazioni - porti di per sè a una maggiore solidità del sistema finanziario. Si tratta di temi che meriterebbero approfondimenti di analisi empirica, senza furori ideologici.