Cosa succede, dopo il dieselgate?
(pubblicato in Vita & Pensiero n. 1 2016)
di
Andrea Boitani e Andrea Monticini
Lo scoppio del dieselgate
Il 18 Settembre 2015 è scoppiato il “Volkswagen emissions scandal”, chiamato anche dieselgate. Che cosa è successo? La United States Environmental Protection Agency (EPA) ha denunciato il gruppo Volkswagen (VW), principale produttore di auto al mondo, di aver messo in commercio, intenzionalmente, autoveicoli che violano le norme sull’emissione di sostanze nocive contenute In altre parole, il software era in grado di riconoscere le due diverse modalità di emissione: guida su strada e test in laboratorio. Nel momento in cui veniva riconosciuta la modalità “test di laboratorio”, il motore emetteva meno inquinanti, rispettando quindi i limiti imposti dal Clean Air Act.
Tutti, più o meno, sapevano o sospettavano che i valori limite di CO2 e i consumi dichiarati dalle case automobilistiche erano assai poco attendibili e, comunque, poco rappresentativi delle reali condizioni di utilizzo delle auto su strada. Ma le emissioni di CO2 e i consumi vengono controllati solo al momento dell’omologazione delle auto, mentre per gli inquinanti atmosferici (come il particolato, il biossido di azoto, ecc.) sia in Europa che negli USA le norme prevedono periodici controlli sull’intero parco circolante, da cui la necessità di dotare le autovetture di software in grado di misurare le emissioni in sede di controllo. Quel software che i ricercatori dell’EPA hanno accusato la VW di aver truccato.
Alla luce di questo scandalo è interessante riflettere su alcuni aspetti: in primo luogo se questo scandalo abbia influenzato l’andamento della ripresa del mercato delle auto nuove in Italia ed in Europa ed in secondo luogo, quali conseguenze il dieselgate possa avere, nel medio periodo, sulla ripresa economica e sulle scelte dei produttori di auto. L’ultima questione, infine è quale possa essere la migliore strategia pubblica per favorire l’evoluzione tecnologica dell’industria automobilistica verso scelte produttive sempre più pulite.
Il dieselgate ha avuto effetti sulle vendite di auto?
Per quanto riguarda il primo aspetto, nel corso dei mesi, come è possibile vedere nella figura 1 in cui sono riportati i dati mensili del numero di auto immatricolate in Italia nel periodo 2011 – 2015, si è assistito ad una robusta ripresa, infatti, in tutti i mesi del 2015 sono risultate vendute molte più auto rispetto ai corrispondenti mesi del 2014. L’anno si è chiuso con 1.574.872 (+15,8% rispetto al 2014) auto immatricolate, riportando il mercato italiano sopra i livelli del 2012, ben distanti però da quelli del 2011. Per quanto riguarda il mercato europeo, sempre escludendo l’Italia, in ogni mese del 2015 sono state vendute più automobili di quante ne fossero state vendute nel corrispondente mese del 2014, per un totale di 11.137.208 veicoli nuovi immatricolati, con un incremento di 8,1% sul 2014. Analizzando questi dati aggregati non si rileva né per il mercato italiano né per il mercato europeo alcuna conseguenza negativa derivante dallo scandalo dieselgate. Tuttavia, pur non emergendo alcun effetto negativo del dieselgate a livello aggregato, potrebbero esserci state ripercussioni per i soli marchi legati al gruppo Volkswagen. Infatti, l’analisi condotta fin qui non permette di verificare le conseguenze dello scandalo sulle vendite specifiche dei marchi del gruppo Volkswagen. A questo fine occorre utilizzare i dati disaggregati per singolo gruppo automobilistico: il gruppo Volkswagen ha aumentato le vendite nei paesi dell’Unione Europea1 (EU) del 6,1% rispetto al 2014. Osservando che questo mercato nel suo complesso è aumentato del 9,3% è possibile individuare una contrazione delle vendite per il gruppo Volkswagen: questa contrazione potrebbe essere stata indotta anche dal dieselgate. Questa considerazione appare però prematura perché dovrà eventualmente essere confermata dai dati futuri, in quanto è importante rilevare come molteplici fattori possono aver indotto una diminuzione delle vendite. In Europa, ad esempio, i concorrenti di Volkswagen potrebbero essere diventati più competitivi, anche presentando nuovi modelli di auto che hanno conquistato i favori del pubblico e questo semplice fatto potrebbe spiegare perché il gruppo Volkswagen abbia diminuito la propria quota di mercato.
Mercato dell’auto e ripresa economica
Questi dati mostrano che, almeno per il momento, la ripresa economica italiana ed europea non dovrebbe essere minacciata dal dieselgate. L’andamento del numero di auto immatricolate ogni mese (o anno) è un indicatore congiunturale importante. Per almeno due diversi motivi: in primo luogo, perché un’automobile nuova, a differenza di altri beni, è un acquisto costoso destinato ad un utilizzo pluriennale. E le famiglie o le imprese decidono di procedere all’acquisto solo se hanno certezze sul loro reddito futuro. In secondo luogo, in Italia ed in Europa è presente, seppur in misura più limitata rispetto al passato, l’industria dell’auto (e relativo indotto) ed una ripresa sostenuta delle vendite è un elemento importante per far aumentare la produzione industriale e di conseguenza il prodotto interno lordo. Con queste premesse, vediamo qualche numero. In Italia, nel 2008, cioè nel primo anno della crisi economica, venivano immatricolati 2.161.147 nuovi veicoli; nel 2009, grazie agli incentivi alla rottamazione tale numero è rimasto superiore ai due milioni di veicoli e dopo 4 anni di crisi, nel 2013, si è addirittura raggiunto il minimo con soli 1.303.514 veicoli nuovi. In altre parole, a seguito della crisi iniziata nel 2008 con il fallimento di Lehamn Brothers e proseguita con la crisi del debito sovrano dei Paesi periferici dell’area euro, nell’Agosto del 2011, il mercato ha visto una drastica diminuzione del numero di auto nuove vendute: circa 857.633 registrando un calo del 39,68% in 3 anni. Non c’è da sorprendersi quindi se molti concessionari, anche di marchi blasonati, nel frattempo hanno cessato la loro attività. Nel 2014 è iniziata una timida ripresa per il mercato italiano, che ha fatto rilevare un aumento di circa 50.000 (+3,84%) autoveicoli rispetto al 2013.
Per ben rappresentare la situazione appare utile effettuare un confronto con i dati relativi al corrispondente mercato europeo. In Europa, escludendo il dato italiano, si è registrata una diminuzione del numero di auto nuove immatricolate, ma in misura molto meno marcata rispetto all’Italia. Nel 2008 venivano immatricolate 10.991.243 nuovi veicoli che aumentavano a 11.139.507 nel 2009, per poi iniziare a diminuire fino a 9.792.463 del 2013, quindi con una contrazione rispetto al 2008 del 10,9%. Nel 2014 in Europa la ripresa si è concretizzata con un aumento di 505.000 auto (5,15%), dato lievemente superiore a quanto registrato in Italia. Questo quadro di ripresa del mercato italiano ed europeo non sembra sia stato scalfito dal dieselgate, se non minimamente e temporaneamente, almeno stando ai dati riportati sopra. La questione da porsi è:quello del dieselgate verrà ricordato come un temporale passeggero o come uno spartiacque nella storia dell’industria dell’auto?
Il futuro dell’industria dell’auto e le politiche per favorirlo
Prima di rispondere al quesito appena posto vale la pena chiedersi cosa ci sia dietro la “bugia” della VW sui consumi dei suoi motori diesel. La verità è molto semplice: la VW, come altre case automobilistiche europee avevano scelto, almeno vent’anni fa, di puntare le proprie carte sul motore diesel, influenzate in Europa da una tassazione favorevole del gasolio, originariamente introdotta per agevolare i camionisti. Al tempo stesso VW, come e più degli altri costruttori, aveva mirato a diesel sempre più potenti per equipaggiare auto grandi e pesanti per convincere anche la clientela non tanto sensibile al prezzo quanto al comfort, alle prestazioni e al “piacere di guida” (Per una convincente analisi di storia industriale si veda G. Berta, “Il futuro dell’industria dell’auto (e del capitalismo)”, il Mulino, 6/2015, pp. 1074-1083.). Ma questa strategia industriale e commerciale ha finito per scontrarsi con le regole via via più stringenti in materia di emissioni emanate tanto in Europa quanto e con più rigore negli USA. Di qui la diabolica tentazione di “taroccare” il software per i test di laboratorio per nascondere le emissioni inquinanti di motori teoricamente puliti, ma così potenti da inquinare quasi come i vecchi motori “sporchi”. La politica, finora, ha messo limiti alle emissioni e non alle potenze. Forse sta qui l'origine degli imbrogli clamorosamente venuti alla ribalta. La limitazione delle potenze - con un plafond a 100-120 cavalli - avrebbe avuto più senso, alla luce dei limiti di velocità sulle strade. Ma era odiata dalle case automobilistiche, in particolare da quelle tedesche che fanno auto di media-alta gamma.
Ciò che il dieselgate dimostra (e ormai si intravede il coinvolgimento di altre imprese oltre VW) è che non è possibile porre obiettivi di progressiva riduzione di consumi ed emissioni senza abbandonare la menzionata strategia dell’industria automobilistica. Le auto diesel grandi, pesanti, ad alte prestazioni e, conseguentemente con alte potenze installate non sembra compatibile con una ragionevole evoluzione in linea con il rispetto effettivo, su strada, delle normative anti-inquinamento tanto europee quanto americane. Se si verificherà che tante marche hanno imbrogliato, si dimostrerà anche l'impossibilità della scommessa che consiste nel produrre auto sempre più potenti ma che consumano ed emettono sempre di meno. Come hanno notato Alfredo Drufuca e Mario Zambrini (http://www.arcipelagomilano.org/?s=drufuca+zambrini), “è l’idea di ‘auto pulita’ come evoluzione tecnologicamente possibile della vecchia ‘auto sporca’ a denunciare tutti i suoi limiti e a mettere in discussione una politica ambientale ancora troppo soggetta alle pressioni dell’industria automobilistica”.
Alcuni costruttori come Toyota, hanno intrapreso da tempo un percorso diverso, almeno da quando il presidente della casa coreana aveva detto che “l’auto deve cambiare o non sopravvivrà al ventunesimo secolo”. Il percorso è quello dell’ibrido, di cui oggi circolano oltre otto milioni di esemplari nel mondo. Certo, ancora una goccia nel mare delle automobili in circolazione, ma certo anche la tappa probabilmente necessaria verso i motori integralmente elettrici (oggi una rarità) e quelli a idrogeno (ancora allo stadio dei prototipi). Si tratta di passare ad auto equipaggiate con tutti gli automatismi e gli ausili alla guida più avanzati disponibili, con l’obiettivo di arrivare finalmente alla guida automatica.
Cosa c’entra la guida automatica coi consumi e le emissioni, ci si potrebbe chiedere. La risposta è semplice: la domanda di prestazioni elevate è legata direttamente alla prospettiva di poter scatenare la potenza della propria auto in strada ed è proprio la carenza prestazionale che pone i motori elettrici in posizione di relativa inferiorità rispetto ai motori a combustione interna e agli ibridi. Non solo, finché resta elevata la domanda di prestazioni, i produttori sono incentivati a progettare auto elettriche esageratamente potenti e quindi con ridotta autonomia e costi eccessivi, che ne limitano la diffusione di mercato. Insomma, la persistenza della domanda di prestazioni e potenza finisce per distorcere la stessa traiettoria tecnologica del prossimo futuro. Arrivare presto alla guida automatica è dunque un passo necessario.
Ma quali sono le linee di azione politica che potrebbero favorire la transizione, senza gravare troppo sulle tasche dei possessori di auto obsolete, peraltro in genere non particolarmente agiati? Per la diffusione dell’elettrico bisogna partire dalla predisposizione di una fitta rete di punti di ricarica, sia pubblici che privati, a partire dalle città. È infatti proprio nell’ambito cittadino che l’elettrico ha già raggiunto una piena funzionalità. Senza arrivare a divieti, è possibile pensare a una tassazione o tariffazione della circolazione (urbana, autostradale) che sia progressiva in funzione della potenza e delle dimensioni delle auto. E poi bisogna estendere i meccanismi di controllo automatico dei comportamenti di guida, a partire dal rispetto dei limiti di velocità, per tagliare alla radice la domanda di potenza. Per esempio, semplicemente tirando un filo tra il navigatore satellitare e l’apparato elettronico di controllo del motore si può fare in modo che l’automobile rispetti sempre i limiti di velocità. Questo dispositivo esiste già e si chiama ISA (Intelligent Speed Adaptation). Tirare quel filo è dunque possibile e neppure tanto difficile. A beneficiarne sarebbe anche la sicurezza, oltre che l’ambiente (http://www.unfilodisicurezza.it/).