Perché calano in borsa le banche italiane?
(pubblicato in Il Secolo XIX il 2016-02-11, p. 1 e 5)
di
Andrea Monticini
Nonostante le rassicurazioni di ministri e del Governatore della Banca d'Italia, le recenti notizie sull'andamento dei mercati borsistici ed in particolare sui titoli bancari, creano nell'opinione pubblica la sensazione di assistere ad un crollo imminente di tutto il sistema finanziario italiano. In realtà le quotazioni di borsa non predicono alcun crollo bancario, indicano solo che il valore delle banche diminuisce perchè gli utili che queste producono si stanno riducendo. Fatta questa doverosa precisazione è però importante osservare, come si può rilevare dal grafico dove è riportato l'andamento dell'indice azionario del settore bancario europeo e di quello italiano, che il valore delle azioni delle banche italiane, da circa un mese, sta perdendo, in media, più di quello delle altre banche europee.
Perchè gli operatori finanziari stanno vendendo le azioni delle banche italiane? A questo proposito merita sottolineare tre differenti aspetti.
Il primo aspetto riguarda la presenza negli attivi bancari dei prestiti di dubbia esigibilità (Non Performing Loans) in misura superiore a quanto le banche dichiarino. Questo problema presente anche in altri Paesi è stato dibattuto per molto tempo ma non è stato ancora risolto. Se l'obiettivo della bad bank era quello di risolvere il problema delle sofferenze, di fatto utilizzando soldi pubblici, la bad bank non ha risolto il problema, deludendo molti investitori. Il secondo aspetto è legato alla composizione degli attivi delle banche italiane. Infatti, dopo i crediti alla clientela, l'attivo delle banche italiane è composto per buona parte dai titoli di stato (a fine dicembre le banche italiane detenevano Euro 389.522 miliardi di controvalore). Ad inizio gennaio, il rallentamento dell'economia cinese ed i problemi delle economie dei paesi emergenti hanno fatto emergere timori sull'andamento dell'economia dell'area euro. Se dovesse esserci una nuova recessione italiana potrebbero sorgere (come nel 2011) dei dubbi sulla sostenibilità del debito pubblico italiano, facendo diminuire il valore dei titoli – e quindi dell'attivo - posseduti dalle banche italiane. Infine, il terzo aspetto riguarda il mancato periodo transitorio prima di dare piena attuazione alla procedura del bail-in. Il principio ispiratore del bail-in è pienamente condivisibile: se cade il tetto del mio box dove ho parcheggiato la mia auto, chi paga i danni? Allo stesso modo: se compro azioni o obbligazioni subordinate di una banca che poi fallisce, chi paga i danni? Nel caso delle azioni o obbligazioni subordinate, prima del decreto sulle risoluzioni bancarie, la Banca d'Italia con una soluzione di sistema avrebbe comunque organizzato il salvataggio e fornito agli amministratori della stessa banca l'assicurazione – implicita - di non procurato dissesto per cattiva gestione. Quello che la procedura di bail-in cancella è l'assicurazione implicita sul non fallimento di una banca e fa ricadere i costi del dissesto su chi non ha controllato la corretta gestione; esattamente come io devo ripagare i danni alla mia auto provocati dalla mancata manutenzione del tetto del mio box. Se da un lato, il principio del bail-in è sacrosanto, dall'altro, è un cambiamento dirompente sulle abitudini di chi gestisce le banche e su chi ne possiede azioni ed obbligazioni. Sarebbe stato auspicabile un periodo transitorio prima di dare piena attuazione a questo principio, tuttavia in Italia non c'è stato alcun dibattito critico ed il bail-in è entrato in vigore il 1 Gennaio 2016. Inoltre, il 30 Gennaio, dopo soli 30 giorni dall'introduzione, il Governatore della Banca d'Italia ne ha auspicato una rapida modifica, per meglio tutelare il sistema bancario italiano. Non è difficile immaginare che l'incertezza generata da questo annuncio abbia contribuito a gettare ombre sulla stabilità delle banche italiane ed abbia spinto molti operatori finanziari a vendere le azioni delle banche italiane.