Banche, servono nuovi investitori Atlante non basta a dare solidità
(pubblicato in Il Secolo XIX il 2016-04-13, p. 1 e 12)
di
Andrea Monticini
Il sistema bancario italiano ha due grossi (distinti) problemi da risolvere: il primo, immediato, è costituito dagli aumenti di capitale che devono essere eseguiti da Banca Popolare di Vicenza e da Veneto Banca, infatti, nelle ultime settimane, sono sorti dubbi circa l’effettiva volontà degli investitori di aderirvi. Il secondo problema è lo smaltimento dell’enorme ammontare di crediti di dubbia esigibilità: Non Performing Loans (NPL), lasciati in eredità da anni di recessione dell’economia italiana. Per risolvere il primo problema e contribuire a risolvere il secondo, è stato creato il fondo Atlante. Per capire l’efficacia di questa soluzione è importante analizzare due differenti aspetti. In primo luogo occorre chiedersi chi mette i soldi nel fondo. Ovviamente, sarebbe auspicabile che la dotazione del fondo fosse di derivazione non-bancaria, in modo da apportare nuovi capitali in grado di risanare le banche dissestate. In realtà, buona parte della dotazione iniziale del fondo Atlante deriva da risorse interne al settore creditizio, fondi esterni sono presenti solo in minima parte. In altre parole, ci sono delle banche (sane) che mettono denaro nel capitale di altre banche (con problemi). Perchè passano tramite il fondo e non mettono direttamente il denaro nel capitale della banca da salvare? Per evitare di diventare azioniste dirette di controllo. Il messaggio dell’operazione è chiaro: da un lato le banche sane italiane vogliono evitare che la Banca Centrale Europea richieda il bail-in per Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca e dall’altro non reputano profittevole prenderne il diretto controllo ed integrarle nei propri gruppi. Questo conferma che le prospettive reddituali future di queste banche sono alquanto incerte ed in futuro, per il fondo, sarà forse complicato rivendere le eventuali quote possedute in queste due banche. In secondo luogo, il fondo è dotato di un capitale (5-7 miliardi di euro) insufficiente per contribuire a smaltire i crediti di dubbia esigibilità, che appesantiscono i bilanci delle banche italiane. Il fondo dovrà quindi reperire capitali aggiuntivi sul mercato emettendo un prestito obbligazionario. Per riuscirci deve avere un buon merito di credito. A questo proposito, tra i partecipanti al fondo Atlante compare, con una piccola quota, la Cassa Depositi e Prestiti, società privata che ha come azionista all’80% il Ministero dell’Economia e delle Finanze. Il fondo Atlante spera in questo modo di poter godere di una buona reputazione. Speriamo sia così. Per concludere, per rendere più solido il sistema bancario italiano la soluzione è una sola: occorre trovare dei nuovi investitori che iniettino nuovo denaro, ristrutturino e rendano nuovamente profittevole esercitare l’attività bancaria. Chiaramente questa strada è di difficile perseguimento perché comporta, in molti casi, la perdita del controllo della banca da parte degli azionisti, che le hanno controllate fino ad oggi e l’apertura ai capitali esteri. Le altre soluzioni sono solo dei palliativi che cercano di rimandare il problema.