Chi paga il conto Carige?
(pubblicato in Avvenire il 2018-11-14, p. 18)
di
Andrea Monticini
La Cassa di Risparmio di Genova ed Imperia (Carige) necessita di nuovo capitale per ripristinare la propria solidità patrimoniale, ma, al momento, appare difficile trovare nuovi investitori disposti a sottoscriverlo. In altre parole, ad un anno e mezzo dal salvataggio di Veneto Banca e di Banca Popolare di Vicenza, la stabilità del sistema creditizio italiano è nuovamente messa in discussione. Sono prevedibili effetti contagio? Può, cioè, la crisi di banca Carige compromettere la stabilità di altre banche? La risposta è no! Infatti, sebbene banca Carige sia una banca con sportelli presenti in molte regioni, la dimensione dei suoi impieghi è limitata se confrontata con l’intero sistema bancario. Inoltre, la crisi di questa banca non è una sorpresa: la Banca Centrale Europea, che vigila direttamente Carige, da molto tempo ha posto questo istituto di credito sotto stretta osservazione, costringendolo solo un anno fa, ad effettuare un aumento di capitale. Quali potrebbero essere le possibili soluzioni per superare questa situazione critica? Per rispondere, è utile esaminare ed analizzare quali siano stati i rimedi utilizzati nelle recenti crisi bancarie e chi ne ha sopportotato i costi. A questo tal proposito, sono stati seguiti tre differenti modelli. Nel primo caso, con la crisi banca Etruria, Cassa di Risparmio di Ferrara, banca Marche e Cassa di Risparmio di Chieti è intervenuto il Fondo di Risoluzione (un fondo costituito con risorse del sistema bancario nazionale), che ha acquistato la proprietà delle banche in dissesto e, dopo averne separata la parte “buona” da quella “cattiva”, ne ha rivendute tre ad UBI ed una alla Banca Popolare dell’Emilia Romagna. In questo caso, i costi della crisi sono stati sopportati dall’intero sistema bancario, ripartendo gli oneri in proporzione alla dimensione della banca. Il rilancio delle banche in dissesto è stato demandato alle banche acquirenti. Nella crisi di banca Monte dei Paschi è intervenuto direttamente il Ministero dell’Economia e delle Finanze, diventando l’azionista principale della banca. In questo caso, data la grande dimensione dell’istituto di credito, si è scelto di nazionalizzare la banca e, pertanto, i costi della crisi sono sostenuti dai contribuenti. In questo modello, tuttavia, per il Ministero dell’Economia e delle Finanze esiste la possibilità (teorica) di realizzare una plusvalenza con la vendita futura della partecipazione, avendo gestito in modo diretto il processo di risanamento. Infine il terzo modello, è un mix dei due precedenti ed ha interessato Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca. Nella crisi delle banche Venete il salvataggio è avvenuto in due step. Nel primo step il sistema finanziario italiano, su base volontaria, è intervenuto attraverso la costituzione del fondo Atlante, che ha rilevato le due banche. Questo intervento, con fondi privati, non si è dimostrato sufficiente e, pertanto si è reso necessario l’utilizzo di fondi pubblici (secondo step) per indurre Banca Intesa ad acquisire, nella propria rete, le due banche venete. Come risulta evidente, gli oneri della crisi sono stati sopportati in parte dal sistema finanziario italiano e in parte dai contribuenti. Per banca Carige è prevedibile venga utilizzato questo modello.