Quali sono gli aspetti positivi e negativi di una politica monetaria ultra espansiva?
(pubblicato in Sole 24 Ore il 2019-08-20, p. 16)
di
Andrea Monticini
Fino a pochi mesi fa, forti di una disoccupazione molto bassa, si scommetteva su quanti aumenti dei tassi di interesse avrebbe fatto la Federal Reserve ed entro quanto tempo la Banca Centrale Europea l’avrebbe seguita. Adesso, con in corso la guerra dei dazi tra Cina e Stati Uniti, lo scenario macroeconomico si è ribaltato e le principali banche centrali, ultima in ordine di tempo quella dell’India, sono impegnate in un nuovo round di espansione monetaria, con lo scopo di diminuire i tassi di interesse per dar forza al ciclo economico e, nel caso della BCE, cercare così di raggiungere l’obiettivo di inflazione. Ipotizzando che i tassi di interesse diminuiscano ulteriormente il ciclo economico migliorerà? Quali sono i principali canali che permettono un rafforzamento del ciclo economico mediante la diminuzione dei tassi di interesse? Per rispondere a queste domande necessita ricordare quali siano i tre principali legami tra il ciclo economico ed i tassi di interesse. In primo luogo, una diminuzione dei tassi di interesse stimola le imprese ad effettuare nuovi investimenti, che si traducono in maggior occupazione, migliorando così il ciclo economico. Va evidenziato come siano gli investimenti a permettere al ciclo economico di migliorare e non la mera diminuzione dei tassi. In altre parole, quando i tassi sono già molto bassi, se diminuiti ulteriormente, non è certo che essi siano in grado di stimolare le imprese verso nuovi investimenti e pertanto gli effetti sul ciclo economico risulterebbero nulli. In secondo luogo, un’ulteriore diminuzione dei tassi, qualora le altre banche centrali non lo riducano a loro volta, provoca una svalutazione del tasso di cambio. Questo canale di trasmissione di un’espansione monetaria all’economia reale, pur non venendo evocato a chiare lettere per non scatenare esplicite guerre valutarie, risulta più efficace del precedente. Infatti, una svalutazione del tasso di cambio è in grado, nel breve termine, di dare uno shock positivo al sistema economico perché rende i beni prodotti da una nazione più convenienti nei mercati internazionali. In questo caso, l’economia, che gode della svalutazione, va a soddisfare la domanda di beni di altre economie. Infine, la diminuzione dei tassi produce un beneficio per le finanze pubbliche, perché riduce l’onere per il servizio del debito pubblico, aprendo margini per l’utilizzo della politica fiscale da parte dei Governi. Quali sono le conseguenze negative di una ulteriore espansione monetaria? Rispondere a questa domanda non è semplice, perché queste politiche sono state adottate in tempi relativamente recenti ed ancora non c’è piena conoscenza sugli effetti di lungo periodo. Tuttavia è possibile individuare almeno tre conseguenze: la prima è che la liquidità immessa dalle banche centrali nei mercati finanziari venga utilizzata nella ricerca di rendimenti per generare ed alimentare una bolla speculativa in qualche asset (es. immobili, prezzi di titoli scambiati in borsa, ecc.). Se si dovesse formare una bolla speculativa in qualche asset, il successivo scoppio potrebbe avere conseguenze negative sull’economia reale servano da esempio i due precedenti cicli economici americani che sono terminati con lo scoppio di due bolle speculative: i titoli legati ad internet nel 2000; i mutui subprime nel 2007. La seconda conseguenza è quella di creare instabilità nelle società che si occupano di fondi pensione. I fondi pensione necessitano di titoli privi di rischio in grado di generare rendimenti positivi, perché questo permette al fondo di soddisfare i flussi di cassa in uscita quando il lavoratore si ritirerà dal lavoro. Purtroppo, le politiche monetarie espansive hanno ridotto, fino a farli diventare negativi, i rendimenti dei titoli privi di rischio, es. il bund tedesco. La terza conseguenza negativa è la stretta dipendenza che si è creata tra la politica monetaria e l’andamento dei mercati finanziari. Nel 2018, la Fed ha continuato ad aumentare i tassi di interesse ritenendo che la crescita economica fosse eccessiva per essere compatibile con l’obiettivo di mantenere stabile il tasso di inflazione. Sulla stessa linea, seppur in modo più moderato, la BCE ha dapprima ridotto e successivamente concluso il programma di acquisti di titoli nell’ambito del QE. In seguito alla correzione al ribasso dei mercati finanziari, indotta dal rallentamento del ciclo economico prodotto dalle decisioni adottate nel 2018, la situazione si è ribaltata. Preso atto del nuovo scenario economico in essere, Mario Draghi, in giugno, ha annunciato una possibile nuova fase di stimolo monetario; in luglio, la FED ha ridotto il target sui federal funds. Concludendo, occorre una riflessione sul ruolo della politica monetaria, perché rispondendo essa solo ad istanze immediate di brevissimo termine, rischia di snaturarsi e perdere la sua efficacia quale strumento di politica economica (magari in combinazione con la politica fiscale) per rispondere a shock negativi dell’economia reale.