Banche il nodo degli investitori
(pubblicato in Avvenire il 2021-03-17, p. 19)
di
Andrea Monticini
Nel dibattito finanziario torna il tema dei piani di rilancio nell’industria bancaria. A questo proposito merita approfondire tre diversi aspetti. In primo luogo occorre riflettere sui recenti salvataggi bancari, resisi necessari a seguito della doppia recessione 2008 e 2011. La prima evidenza è la scarsa capacità dell’industria bancaria italiana di generare profitti con l’attività bancaria tradizionale e se la scarsa redditività era stata gestibile nelle fasi di modesta espansione dell’economia italiana, certamente questo non è stato più possibile con la recessione. La scarsa redditività, se protratta negli anni, non consente di generare sufficienti riserve di utili da impiegare per eventuali svalutazioni di crediti concessi, ma non più esigibili proprio a causa della recessione. In quest’ultimo caso, non potendo contare su riserve di utili precedentemente accantonati, le banche sono costrette a chiedere nuovo capitale agli azionisti, gli azionisti, a loro volta, valutando le deboli prospettive della redditività, sono indotti a non effettuare ulteriori investimenti in capitale bancario, rimandando in tal modo la soluzione della crisi. Pertanto una banca in via di rilancio ha, ancora più delle altre banche, la necessità di aggiornare il proprio modello di business, in modo da tornare rapidamente a generare profitti. Il secondo fatto emerso nella recente storia finanziaria italiana è la necessità, per l’industria bancaria, di dar vita a processi di consolidamento per sfruttare economie di scala es. per gli investimenti in fintech. Ovviamente, pur essendo questa una necessità per tutte le banche, lo è a maggior ragione per una banca che debba ritrovare la capacità di generare profitti nel medio termine. Stante queste premesse pare naturale che una qualsiasi banca in via di rilancio abbia la convenienza di entrare in un grande gruppo bancario (italiano o estero) che abbia le risorse e la convenienza nel realizzare i necessari investimenti per implementare un modello di business bancario moderno ed efficiente. Tuttavia, non è sempre agevole trovare investitori industriali, perché? Le ragioni sono molteplici, mi limiterò ad elencarne due. In primo luogo l’Italia è un Paese che negli ultimi 30 anni è cresciuto molto poco: investire in una nazione che cresce poco pone delle incertezze sul rendimento dell’operazione. In secondo luogo, il salvataggio delle Banche Venete, operato utilizzando fondi privati e fondi pubblici per incentivare Banca Intesa ad assorbire le due banche nel proprio gruppo, ha tracciato una sorta di esempio per i futuri salvataggi. Chiunque sia oggi interessato all’acquisto di una Banca da rilanciare, metterà in conto di ottenere fondi pubblici e negoziarne la concessione, anche se questa aspettativa è oggi poco realistica. Naturalmente, per qualsiasi banca esiste sempre l’opzione standalone da poter essere perseguita. In questo caso, è necessario avere azionisti disposti ad investire somme ingenti a fronte di redditività futura incerta. Infine, in terzo luogo, la recente emergenza sanitaria ha prodotto una pesante diminuzione del PIL nel 2020. Non essendo prevedibile come l’Italia possa economicamente uscirne questo rappresenta un elemento di incertezza che suggerisce cautela ai potenziali investitori nel rilancio di una Banca.