Capitolo inflazione da leggere nel 2022
(pubblicato in Avvenire il 2021-03-26, p. 17)
di
Andrea Monticini
Esiste per il 2021 il rischio inflazione? Per rispondere a questo quesito è bene analizzare in dettaglio i fattori in gioco, sia quelli che inducono a ipotizzare un forte aumento dell’inflazione, sia quelli che, al contrario, portano a supporre che questo rischio sia moderato. Il primo fattore da considerare è legato al debito pubblico. Per contrastare gli effetti economici della pandemia, i governi di tutto il mondo hanno finanziato in deficit programmi di sostegno per i redditi delle famiglie e la liquidità delle imprese, incrementando il debito pubblico. Come conseguenza nel 2021 il debito pubblico sarà aumentato in modo rilevante per tutte le principali economie. Per la politica economica si pone quindi il problema dello smaltimento del debito pubblico. Esistono realisticamente tre strade per smaltire l’eccesso di debito pubblico: 1) ripudiare il debito, dichiarando default (totale o parziale); 2) generare ingenti avanzi primari, aumentando le tasse; 3) avere inflazione. Tutte e tre le strade sono impegnative, gravose e fanno ricadere l’onere su differenti categorie di soggetti economici. Una via storicamente spesso perseguita è stata quella di far aumentare l’inflazione, perché l’inflazione inattesa, non incorporata nei contratti ad esempio con tassi indicizzati per l’inflazione, implica un trasferimento di ricchezza dal creditore al debitore. In questo caso, il Tesoro, essendosi indebitato emettendo titoli obbligazionari a tasso fisso a seguito di un aumento dell’inflazione, vedrà ridursi l’onere reale del rimborso del debito contratto. Gli investitori, consapevoli di questo rischio, non potendo evitare le eventuali perdite sui titoli obbligazionari sovrani già posseduti nei propri portafogli, richiederanno pertanto rendimenti maggiori sulle nuove emissioni di debito pubblico. Il secondo fattore da considerare è legato all’enorme quantitativo di liquidità presente nei mercati finanziari. Le Banche Centrali per stimolare gli investimenti e rilanciare il ciclo economico, hanno costantemente iniettato liquidità tenendo i tassi di interesse a livelli molto bassi. Un livello di tassi così contenuto avrebbe già dovuto stimolare un forte incremento di spesa in investimenti da parte delle imprese e, di conseguenza, generare un aumento del reddito e dei consumi delle famiglie con riflessi sul tasso di inflazione. Tuttavia, l’aumento di inflazione non si è ad oggi manifestato. Infine, il terzo fattore riguarda l’origine dell’inflazione. Si ha inflazione quando le imprese si trovano a dover fronteggiare una forte ed inattesa domanda dei beni o servizi che esse producono. Non riuscendo ad aumentare la produzione, ad esempio per mancanza di manodopera, le imprese aumentano i prezzi, dando così vita all’inflazione. Un elevato tasso di disoccupazione, che per le imprese si traduce in un’ampia riserva di manodopera a cui attingere, difficilmente si tradurrà in uno scenario di alta inflazione. Gli Stati Uniti sono in una fase di vigorosa ripresa dell’attività economica, favorita sia da un miglioramento delle condizioni pandemiche, sia dall’attesa per il piano di forte espansione fiscale introdotto dal Presidente Biden, ma per il 2021 difficilmente vedremo una forte ripresa dell’inflazione perché la manodopera disponibile per le imprese resterà ancora abbondante. In Europa, dove l’economia è ancora rallentata dalle condizioni pandemiche, è dunque ipotizzabile che il rischio inflazione per il 2021 sia molto contenuto.