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Tre condizioni per migliorare il patto di stabilità
(pubblicato in Il Sole 24 Ore il 2023-06-14, p. 18)

di
Andrea Monticini

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In questo periodo, a livello europeo, molto si discute su come debba essere impostato il nuovo patto di stabilità. Senza entrare nei dettagli tecnici, pare interessante concentrarsi su tre differenti aspetti utili a comprendere i termini della discussione e, più in generale, il ruolo della politica macroeconomica nel processo di risanamento delle finanze pubbliche. Il primo aspetto da sottolineare è la motivazione: perché i Paesi che adottano una moneta comune, in questo caso l’euro, hanno bisogno del patto di stabilità? Questo vincolo serve per impedire che una nazione adotti una politica fiscale irresponsabile perché i costi, principalmente sotto forma di maggiori tassi di interesse, in una unione monetaria, ricadrebbero anche sulle altre nazioni che hanno adottato la stessa valuta. In sintesi: il patto di stabilità serve per limitare il fenomeno del free riding, ovvero impedire al potere politico di una nazione di danneggiare le altre nazioni con condotte fiscali irresponsabili. In secondo luogo, dopo aver enunciato il postulato ed esaminato i molteplici risvolti, si presenta più complesso definire nel concreto cosa “possa” e cosa “non possa” fare una nazione. Pertanto, proviamo a limitare l’attenzione alle politiche di risanamento delle finanze pubbliche, spesso inteso come taglio della spesa pubblica e/o aumento delle tasse. Una politica di austerity ha sicuramente il pregio di diminuire l’indebitamento del settore pubblico, ma presenta l’inconveniente di ridurre il Prodotto Interno Lordo, generando una variazione di segno incerto nel principale indicatore di sostenibilità del debito pubblico osservato dai mercati finanziari: il rapporto debito/PIL. A questo proposito, un recente studio pubblicato dal Fondo Monetario Internazionale offre spunti interessanti su come debba essere gestito il risanamento delle finanze pubbliche. In base ai risultati presentati nella ricerca del FMI, una politica di austerity ha una probabilità di circa il 51% di diminuire il rapporto debito/PIL. In altre parole, nessuno può sostenere che l’austerity renda il debito pubblico più sostenibile. Ovviamente, l’austerity ha una probabilità più elevata di avere successo se il PIL della nazione è ben oltre il proprio trend di crescita di lungo periodo, ovverosia se la nazione è in una fase di vero e proprio boom economico. In modo analogo, la probabilità che il consolidamento fiscale riduca il rapporto debito/PIL aumenta se la crescita mondiale è robusta. Per contro, la probabilità di una diminuzione del rapporto debito/PIL è più difficile se il credito privato è relativamente elevato e se nei mercati finanziari c’è molta volatilità. Naturalmente, la presenza di tassi di interesse reali molto bassi può aver influenzato queste evidenze empiriche. In ottica futura, è ragionevole immaginare che i tassi di interesse tornino ad un livello molto basso, come quello sperimentato nel periodo pre-covid, oppure che essi si attestino ad un livello superiore? Rispondere a questa domanda non è semplice, possiamo tentare di indicare quali potranno essere i fattori chiave: andamento demografico e crescita della produttività. Le previsioni sull’andamento demografico e la limitata crescita della produttività potrebbero far ipotizzare un ritorno verso tassi di interesse reali molto bassi. Tuttavia, questa previsione conservativa potrebbe essere contraddetta dall’introduzione dell’intelligenza artificiale nei processi produttivi. Al momento è difficile comprenderne appieno la portata, in particolar modo per quanto riguarda i guadagni che l’intelligenza artificiale porterà in termini di maggior produttività dei fattori produttivi. Tenendo conto di questi elementi, emerge chiaramente come il risanamento delle finanze pubbliche debba avvenire in tempi di crescita economica e non con l’economia in recessione (o prossima alla recessione). Ed è bene che questo principio venga esplicitato nelle nuove regole europee. Il terzo elemento da considerare, nel definire il nuovo patto di stabilità, è il futuro dell’Unione Europea: si va verso gli Stati Uniti d’Europa o si resta nello stato attuale, cioè senza stabili risorse fiscali federali? Chiarire questo punto è un elemento utile per meglio determinare limiti e possibilità per la politica fiscale dei prossimi anni, perché ad esempio, potrebbe rivelarsi più ragionevole imporre dei vincoli stringenti alle politiche fiscali nazionali sapendo che, in caso di shock, saranno disponibili risorse federali per contrastarlo. Da ultimo, prevedere una maggiore integrazione avrebbe effetti benefici anche sulla qualità del mercato europeo, migliorandone l’efficienza con ricadute positive sia sul potenziale di crescita che sulla sostenibilità dei debiti pubblici.

URL: http://monticini.eu/owr/2023_06_14/